Scorta di polizia per Souad Sbai (Pdl) italo-marocchina nel mirino degli imam
MASSIMO NUMA
TORINO
L’ onorevole del Pdl Souad Sbai, 46 anni, di origine marocchina, è da mesi al centro di una campagna d’odio. Telefonate anonime di minaccia, anche verso la sua famiglia, decine di mail inviate da tutta Italia. Anche da Milano, Bologna, Treviso e Torino, dove le moschee radicali sono numerose ed aggressive. Messaggi a volte firmati o, non raramente, anche anonimi. Il tono, spesso, è quello di una «fatwa», cioè un giudizio, di carattere religioso, che suona anche come una maledizione o una sentenza di morte. Due nordafricani sono stati identificati e denunciati alle procure di Roma e Bologna dopo una lunga serie di avvertimenti intimidatori. E saranno presto processati. Ma non è servito ad allentare la morsa di una crescente ostilità, che affonda le radici negli ambienti islamici più integralisti. Souad, lei ha paura? «Non mi piace questa parola - dice - ma evidentemente è accaduto qualcosa di grave. Io sono di cultura e di credo islamico ma la mia formazione è laica. Quello che molti italiani non sanno è che, nei nostri Paesi d’origine, i moderati come me, cioè persone che vogliono e sanno dialogare con tutti, in nome di un reciproco rispetto, sono la grande maggioranza. I veri estremisti, quelli che si definiscono islamici, sono purtroppo qui, in Italia. Sino ad oggi hanno deciso che non è necessario far scorrere il sangue con gli attentati, esclusivamente per ragioni strategiche. Serve un territorio neutro, per continuare a tessere le loro trame indisturbati. Ma prima o poi questo equilibrio può incrinarsi per un fattore nuovo. E allora ci saranno i morti. Anche italiani».
Parole dure. Ma l’onorevole Sbai continua ogni giorno ad accompagnare a scuola i suoi bambini, ad avere una vita sociale e politica come se niente fosse. Attraverso il suo avvocato di fiducia, Loredana Gemelli, s’è costituita parte civile contro Akrane H., residente a Bologna, autore di una serie di messaggi minatori. «Io non posso avere paura di morire ogni giorno, né mi va di farmi passare per una vittima. Lavoro come sempre, per le mie idee, per difendere gli immigrati, le donne e gli uomini, dal pericolo del fondamentalismo». Akrane H. così le scrisse: «... Siete solo moutamalikim e intihazieni (opportunista, ndr), usi gli immigrati per scopo di lucro... tu Souad non sei niente... una donna che cerca di fare carriera sulle donne marocchine, non hai niente a che fare con l’Islam, sai niente del fikh (giurisprudenza religiosa, ndr)... Hai i capelli scoperti davanti ad Allah... la donna che non copre la testa viene moullaka (appesa, ndr) per i capelli... Allah ti punirà per il male che fai alla gente».
Poi: «.... Mi rivolgo ad Allah contro di te, in modo tale che lui, Allah, ti scopra». Infine: «... Tu sei una donna molto cattiva... mettiti a pregare Allah... lascia il lavoro agli uomini... mi hanno parlato molto male di te, allora sei uscita allo scoperto come una “massihia” (cristiana, ndr)». Affermazione da brividi. In sostanza è l’accusa di apostasia, cioè contro «colui che abbandona la fede islamica, equivale a dire - spiega il suo avvocato - che, in quanto apostata, un soggetto può essere ucciso da qualsiasi altro musulmano». Una condanna a morte. Che viene eseguita in una lunga serie di stati islamici. Tra gli altri, Pakistan, Iran, Yemen, Sudan e Mauritania. «L’inesauribile pioggia di “Fatwa” contro Sbai - dice l’avvocato Gemelli - l’hanno trasformata in un obiettivo, in un target. La scorta della polizia? Sarà solo una questione di ore, di giorni. Prima che sia davvero troppo tardi». La giornalista e scrittrice italo-marocchina non è un’apostata. Non ha mai rinnegato la sua religione d’origine: «Sono e resto un’islamica ma penso che tutti possano e debbano professare il loro credo. Cristiani ed ebrei, hindu e buddisti. E’ una semplice questione di libertà personale e religiosa. Ma è poi così difficile da capire? Tutti gli estremisti, tutti i fanatici che mi inviano i loro messaggi di morte, sappiano solo che, se saranno identificati, li denuncerò tutti, uno per uno. Non intendo lasciarmi intimidire da nessuno. Non sono sola, qui in Italia, a combattere questa battaglia. Il messaggio che rischia di passare, grazie ai centri più integralisti, è che tutti i musulmani sono filo terroristi o fanatici religiosi. Non è vero, il processo di integrazione sta procedendo veloce. E a tanti imam, questo non piace».
L’ onorevole del Pdl Souad Sbai, 46 anni, di origine marocchina, è da mesi al centro di una campagna d’odio. Telefonate anonime di minaccia, anche verso la sua famiglia, decine di mail inviate da tutta Italia. Anche da Milano, Bologna, Treviso e Torino, dove le moschee radicali sono numerose ed aggressive. Messaggi a volte firmati o, non raramente, anche anonimi. Il tono, spesso, è quello di una «fatwa», cioè un giudizio, di carattere religioso, che suona anche come una maledizione o una sentenza di morte. Due nordafricani sono stati identificati e denunciati alle procure di Roma e Bologna dopo una lunga serie di avvertimenti intimidatori. E saranno presto processati. Ma non è servito ad allentare la morsa di una crescente ostilità, che affonda le radici negli ambienti islamici più integralisti. Souad, lei ha paura? «Non mi piace questa parola - dice - ma evidentemente è accaduto qualcosa di grave. Io sono di cultura e di credo islamico ma la mia formazione è laica. Quello che molti italiani non sanno è che, nei nostri Paesi d’origine, i moderati come me, cioè persone che vogliono e sanno dialogare con tutti, in nome di un reciproco rispetto, sono la grande maggioranza. I veri estremisti, quelli che si definiscono islamici, sono purtroppo qui, in Italia. Sino ad oggi hanno deciso che non è necessario far scorrere il sangue con gli attentati, esclusivamente per ragioni strategiche. Serve un territorio neutro, per continuare a tessere le loro trame indisturbati. Ma prima o poi questo equilibrio può incrinarsi per un fattore nuovo. E allora ci saranno i morti. Anche italiani».
Parole dure. Ma l’onorevole Sbai continua ogni giorno ad accompagnare a scuola i suoi bambini, ad avere una vita sociale e politica come se niente fosse. Attraverso il suo avvocato di fiducia, Loredana Gemelli, s’è costituita parte civile contro Akrane H., residente a Bologna, autore di una serie di messaggi minatori. «Io non posso avere paura di morire ogni giorno, né mi va di farmi passare per una vittima. Lavoro come sempre, per le mie idee, per difendere gli immigrati, le donne e gli uomini, dal pericolo del fondamentalismo». Akrane H. così le scrisse: «... Siete solo moutamalikim e intihazieni (opportunista, ndr), usi gli immigrati per scopo di lucro... tu Souad non sei niente... una donna che cerca di fare carriera sulle donne marocchine, non hai niente a che fare con l’Islam, sai niente del fikh (giurisprudenza religiosa, ndr)... Hai i capelli scoperti davanti ad Allah... la donna che non copre la testa viene moullaka (appesa, ndr) per i capelli... Allah ti punirà per il male che fai alla gente».
Poi: «.... Mi rivolgo ad Allah contro di te, in modo tale che lui, Allah, ti scopra». Infine: «... Tu sei una donna molto cattiva... mettiti a pregare Allah... lascia il lavoro agli uomini... mi hanno parlato molto male di te, allora sei uscita allo scoperto come una “massihia” (cristiana, ndr)». Affermazione da brividi. In sostanza è l’accusa di apostasia, cioè contro «colui che abbandona la fede islamica, equivale a dire - spiega il suo avvocato - che, in quanto apostata, un soggetto può essere ucciso da qualsiasi altro musulmano». Una condanna a morte. Che viene eseguita in una lunga serie di stati islamici. Tra gli altri, Pakistan, Iran, Yemen, Sudan e Mauritania. «L’inesauribile pioggia di “Fatwa” contro Sbai - dice l’avvocato Gemelli - l’hanno trasformata in un obiettivo, in un target. La scorta della polizia? Sarà solo una questione di ore, di giorni. Prima che sia davvero troppo tardi». La giornalista e scrittrice italo-marocchina non è un’apostata. Non ha mai rinnegato la sua religione d’origine: «Sono e resto un’islamica ma penso che tutti possano e debbano professare il loro credo. Cristiani ed ebrei, hindu e buddisti. E’ una semplice questione di libertà personale e religiosa. Ma è poi così difficile da capire? Tutti gli estremisti, tutti i fanatici che mi inviano i loro messaggi di morte, sappiano solo che, se saranno identificati, li denuncerò tutti, uno per uno. Non intendo lasciarmi intimidire da nessuno. Non sono sola, qui in Italia, a combattere questa battaglia. Il messaggio che rischia di passare, grazie ai centri più integralisti, è che tutti i musulmani sono filo terroristi o fanatici religiosi. Non è vero, il processo di integrazione sta procedendo veloce. E a tanti imam, questo non piace».
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